Il lavoro di Virginia Porcelli presenta i risultati dell'analisi della rivista «Quaderni di San Precario». Il movimento di San Precario, di organizzazione e mobilitazione del lavoro precario, ha alimentato un'attività di riflessione collettiva sulla condizione e l'organizzazione, spesso basata su inchieste ed esperienze di movimenti sociali e sindacali. Il lavoro si focalizza sulle forme e i contenuti di questa riflessione e la sua rilevanza per l'analisi sociologica del lavoro precario e della rappresentanza dei precari.
La produzione dell'intelligenza precaria:
uno studio sui «Quaderni di San Precario»
I mutamenti del mondo del lavoro, che in Italia si sono imposti a partire dalla metà degli anni Novanta, hanno coinvolto in prima istanza la dimensione contrattuale del lavoro (dalle collaborazioni coordinate e continuative nella riforma del sistema pensionistico del 1995, al lavoro interinale introdotto nel 1997, fino alla più sostanziale riforma del 2003), ma hanno fin da subito permeato aspetti più specificatamente sociali, quali l’articolazione dei tempi e degli spazi tra lavoro e non lavoro, le strategie abitative, la vita quotidiana, così come il tempo libero e gli affetti, tutti ambiti coinvolti non soltanto dall’imprevedibilità del lavoro (e dalla conseguente discontinuità di reddito) ma anche da una più generale condizione di incertezza, frammentazione e mancanza di diritti. La mia relazione si articola intorno al fenomeno del lavoro atipico, caratterizzato da un crescente grado di precarietà, che riguarda in primo luogo l’instabilità del lavoro, ma che dunque si estende in maniera pervasiva ad altri ambiti di vita delle persone che ne sono coinvolte.
In questo particolare scenario forme di rivendicazione, da parte di soggetti occupati, sono state create con l’intento, da una parte, di descrivere e denunciare il fenomeno del precariato, dall’altra, di sperimentare forme di agire cooperativo e conflittuale.
All’inizio del nuovo millennio la sfida posta dagli attivisti era in primo luogo di affermazione identitaria, cioè, in altre parole di accreditare le soggettività precarie nel dibattito pubblico a fronte di una narrazione dominante tesa a minimizzare la deregolamentazione selvaggia del mercato del lavoro e le difficili condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori. Lo sforzo, dunque, era diretto verso una riscrittura del lessico e dell’immaginario simbolico sul lavoro, nel tentativo di consolidare i precari come soggettività collettiva oltre le sue tradizionali rappresentazioni. Il suo divenire caratteristica strutturale ha incentivato una ridefinizione dell’azione politica nella direzione di una vera e propria presa in carico del conflitto sociale sui luoghi di lavoro. È in particolare su questi aspetti che si concentra la mia relazione.
Nello specifico ho concentrato la mia attenzione sulle forme di auto-rappresentazione attuate da questo gruppo di attivisti che ha permesso loro di ricreare un linguaggio attraverso cui raccontarsi. A questo processo di auto-rappresentazione va affiancato un processo di auto-rappresentanza, in cui si tenta di sperimentare, oltre l’apparente inorganizzabilità dell’universo precario, forme di agire cooperativo e conflittuale. Il titolo che ho scelto per questo lavoro – la produzione dell’intelligenza precaria: uno studio sui quaderni di San Precario – vuole infatti esplicitare l’interesse verso le forme emergenti di organizzazione del lavoro. Il lavoro rappresenta un aspetto cruciale per lo sviluppo individuale e un elemento centrale per il progresso economico e sociale di una collettività. In particolare, ho voluto palesare l’interesse verso il network di San Precario che a mio parere si configura come un’esperienza interessante sia in termini di partecipazione che di auto-organizzazione dei precari. Una vera e propria agenzia di conflitto (come la definiscono i suoi attivisti) che si fa carico direttamente di tutelare i diritti di lavoratori precari mescolando modalità di vertenza tradizionale di tipo legale e forme di attivismo che provengono da una diversa tradizione politica legata principalmente ai movimenti sociali.
Ho dedicato il mio primo capitolo al concetto di precarietà ed ho cercato di inquadrarne la portata. Subito ho notato la difficile prova in quanto ho capito in breve tempo che esso non è un concetto di facile definizione. Più che essere il precariato viene sentito, e questa sensazione deriva da una minore sicurezza, dapprima su un livello prettamente lavorativo ma che si ripercuote poi sul soggetto nella sua interezza, estendendosi in maniera capillare fino a toccare tutti gli ambiti della sua vita. Inoltre, dalle mie ricerche ho notato che non vi è una definizione che metta d’accordo tutte le varie sensibilità e cercare di intraprendere un’analisi sociologica su questo tema è stata un’operazione complicata in quanto se da un lato si corre il rischio di portare avanti un’analisi nostalgica a ritroso di un modello di lavoro che ha progressivamente perso la propria centralità, dall’altro si presenta il pericolo di costruire dei nuovi schemi interpretativi che hanno la pretesa di incasellare le attuali forme del lavoro in classificazioni eccessivamente rigide, spesso incapaci di cogliere le sfumature e la complessità di un processo ancora in corso e in continuo mutamento.
Nel secondo capitolo mi sono concentrata sull’analisi dei maggiori movimenti messi in atto dagli attivisti, fermandomi soprattutto sulla figura di San Precario. San Precario viene ideato attraverso un processo di subvertising culturale e ci offre sin dal principio il quadro di lettura di questi movimenti nell’approcciarsi all’universo simbolico della precarietà. Esso, attraverso un processo di straniamento, si riappropria della tradizione cattolica italiana narrando la vita del santo secondo i canoni religiosi (attraverso lo sviluppo di un’iconografia, un’agiografia e relativi rituali) ma la stessa vita, la storia vengono messe in gioco per esplorare i problemi derivanti dalla crescente precarietà della forza lavoro. Attraverso lo stesso criterio sono state ideate, negli anni successivi, nuove operazioni comunicative come Serpica Naro (anagramma di San Precario) stilista immaginaria creata dallo stesso network che viene immaginata e agita come smascheramento simbolico di un intero sistema produttivo ad alto tasso di precarietà, ovvero il sistema della moda. Ancora, gli imbattibili, un album composto da 21 figurine ognuno con una propria identità di precario, quindi, una vera e propria operazione di auto-rappresentazione della precarietà. Tutte queste iniziative vengono poi presentate o riprese in occasione della festa dei lavoratori il primo maggio. Queste manifestazioni prendono il nome di MayDay. Questo evento, in effetti, ha trasformato la festa dei lavoratori in un’occasione di dibattito sul tema stesso del precariato attraverso modalità di comunicazione ironiche e sovversive
Infine la mia relazione si conclude con il terzo capitolo nel quale rivolgo la mia attenzione ai “Quaderni di San Precario”. Questo blog nasce dalla volontà da parte degli attivisti di creare uno spazio comune che provi a mettere in luce e a collegare le varie esperienze di azione che avvengono in svariati luoghi di lavoro e in diversi territori. È, dunque, uno spazio che da un lato si concentra ad analizzare la condizione esistenziale precaria, dall’altro cerca di dar voce ad una moltitudine di persone che si trovano nella medesima condizione. Nell’affrontare questo studio ho reputato giusto concentrare la mia attenzione su un paio di elementi. In primo luogo ho cercato di fare una panoramica generale del blog, poi mi sono concentrata sui numeri della rivista i “quaderni di San Precario”. Ho creato una tabella che riportasse tutti i numeri della rivista e ne ho analizzato alcune componenti più nello specifico reputandole di maggior interesse come: le tematiche prevalenti, gli autori e le sezioni. Infine, ho cercato di analizzare al meglio il contributo di uno degli attivisti più presenti del blog, nonché uno dei fautori del movimento, Andrea Fumagalli. Il contributo di questo autore risiede nella realizzazione di un dispositivo di autoformazione e di dibattito pubblico. Attraverso tale dispositivo si concentra dunque la riflessione sulla condizione precaria. Ho notato, infatti, dall’analisi sia dei quaderni che degli articoli di Fumagalli che il filo conduttore che collega questa iniziativa risiede nella visione univoca e comune del concetto di precarietà. La precarietà viene vista non solo come una condizione lavorativa, essa è ben altro, coinvolge il soggetto nella sua interezza. È una condizione esistenziale, strutturale e generale.
Esistenziale, in quanto, è presente in un contesto dove è sempre più difficile separare il lavoro dal non lavoro e l’incertezza che questa condizione crea non trova una forma di assicurazione.
La precarietà è una condizione generalizzata perché anche chi si trova in una situazione lavorativa stabile e garantita è cosciente che tale situazione potrebbe mutare da un momento all’altro.
Infine, analizzando a fondo i numeri della rivista, ho percepito che quello che traspare da questi è che non esiste una “composizione tecnica” del lavoro precario, poiché è la vita a essere precaria. Non esiste composizione politica della condizione precaria, poiché la precarietà non è rappresentabile. Esiste, per ora, solo una composizione “sociale”, frammentata, soggettiva. È per questo che gli autori cercano di dare forza alla costruzione di un punto di vista precario. Un punto di vista che si proponga di setacciare e utilizzare criticamente tutti gli strumenti, giuridici, teorici e conflittuali, dentro un’ottica offensiva e non di semplice resistenza.
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