Approfondimenti. La fotografia rientra tra primi oggetti di interesse di Pierre Bourdieu. Le sue riflessioni raccolte in diversi contributi, trova una momento di sintesi nel 1965, con la curatela del volume a più mani Un art moyen. Essai sur les usages sociaux de la photographie (con saggi di Pierre Bourdieu, Robert Castel, Luc Boltanski, Jean-Claude Chamboredon), tradotto in italiano già nel 1972 con il titolo La fotografia. Usi e funzioni sociali di un'arte media (editore Guaraldi, seconda edizione del 2004) e di recente – nel 2018 – riproposto con il titolo Un’arte media. Saggio sugli usi sociali della fotografia, dall’editore Meltemi con la presentazione di Milly Buonanno (al link è possibile consultare una rassegna stampa a cura dell’Editore). La prima parte del volume contiene i contributi di Bourdieu che costituiscono gli elementi cruciali della sua prospettiva sulla fotografia, depurati dai condizionamenti del contesto sociale francese degli anni Sessanta. Nell’introduzione, in particolare, si legge:
«Considerato che, a differenza delle attività artistiche pienamente consacrate, come la pittura o la musica, la pratica della fotografia è ritenuta accessibile a tutti, dal punto di vista tecnico come da quello economico, e chi vi si dedica non si sente affatto legato a un sistema di norme esplicite e codificate che definiscano la pratica legittima nel suo oggetto, le sue occasioni e la sua modalità, l’analisi del significato soggettivo o oggettivo che i soggetti conferiscono alla fotografia, come pratica o come opera culturale, appare un mezzo privilegiato per cogliere nella loro espressione più autentica le estetiche (e le etiche) proprie ai differenti gruppi o classi e in particolare “l’estetica popolare” che vi si può eccezionalmente manifestare. In effetti, quando tutto farebbe credere che questa attività senza tradizioni e senza esigenze sia abbandonata all’anarchia dell’improvvisazione individuale, risulta invece che niente è più regolato e convenzionale della pratica della fotografia e delle fotografie d’amatore: le occasioni di fotografare, come pure gli oggetti, i luoghi e i personaggi fotografati o la composizione stessa delle immagini, tutto sembra obbedire a norme implicite che s’impongono senza eccezione e che gli amatori accorti o gli esteti riconoscono come tali, ma solo per denunciarle come difetti di gusto o imperizia tecnica.»«Oltre agli interessi particolari di ogni classe, anche i rapporti oggettivi, oscuramente avvertiti, fra la classe come tale e le altre classi trovano indirettamente espressione attraverso gli atteggiamenti degli individui nei confronti della fotografia. Allo stesso modo che il contadino, respingendo la pratica della fotografia, esprime il suo rapporto con il sistema di vita urbano, rapporto entro e attraverso il quale egli sperimenta la particolarità della sua condizione, così il significato che i piccolo-borghesi conferiscono alla pratica della fotografia traduce o tradisce la relazione delle classi medie con la cultura, cioè con le classi superiori detentrici del privilegio delle pratiche culturali ritenute più nobili, e con le classi popolari da cui a tutti i costi cercano di distinguersi, manifestando nelle pratiche che sono loro accessibili la maggiore buona volontà culturale. Per questa ragione i membri dei fotoclub credono di nobilitarsi culturalmente tentando di nobilitare la fotografia, surrogato a loro misura e a loro portata delle arti nobili, e insieme di ritrovare nella disciplina del gruppo quel corpo di regole tecniche ed estetiche di cui si sono privati respingendo come volgari quelle che reggono la pratica popolare. Il rapporto esistente fra gli individui e la pratica della fotografia è per sua natura mediato, poiché comporta sempre il riferimento al rapporto che i membri delle altre classi intrattengono con la fotografia, e da lì a tutta la struttura dei rapporti fra le classi.»
Una lettura in italiano complementare è certamente il volume In Algeria. Immagini dello sradicamento, a cura di Franz Schultheis, Christine Frisinghelli e Andrea Rapini (Carocci, 2012; al link è possibile consultare una rassegna stampa a cura dell’Editore) che contiene fotografie scattate in Algeria durante la guerra di indipendenza (1954-1962); qui il giovane Pierre Bourdieu sperimenta un caleidoscopio di strumenti di inchiesta e realizza centinaia di foto che oggi, in questo libro, sono accoppiate a lunghi estratti degli scritti di argomento algerino.
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