domenica 19 ottobre 2014

Il capitale sociale: un confronto teorico tra Pierre Bourdieu e James Coleman

Il concetto di capitale sociale ha avuto un'ampia attenzione sia per le sue implicazioni per lo sviluppo della teoria sociologica contemporanea, sia per l'estesa applicazione nella ricerca empirica. La definizione di tale concetto e il suo inquadramento teorico sono, tuttavia, diversi e spesso concorrenti. La relazione finale di Laura Rocco - Il capitale sociale: un confronto teorico tra P. Bourdieu e J. Coleman - si inserisce in questo ampio dibattito, scegliendo di mettere a confronto due autori di grande rilevanza nella teoria sociologica contemporanea:  Bourdieu e Coleman. Questi due autori hanno sviluppato una diversa concezione del concetto di capitale sociale e lo hanno applicato, tra le altre cose, al campo dell'istruzione e dei sistemi scolastici, arrivando a conclusioni significativamente diversi.

Il capitale sociale: un confronto teorico tra Pierre Bourdieu e James Coleman

Oggetto di questa relazione è il concetto di capitale sociale. L’obiettivo infatti è quello di illustrare la rilevanza assunta dal capitale sociale attraverso il confronto fra le posizioni teoriche di due autori ritenuti  tra i più importanti nell’ambito delle scienze sociali contemporanee: la teoria della scelta razionale di James Coleman e lo strutturalismo genetico di Pierre Bourdieu.
Ci sono diverse definizioni di capitale sociale ma nella maggior parte dei casi ci è presentato come “l’insieme delle relazioni di cui un individuo dispone e attiva in un determinato momento” (Trigilia, 2001: 110). L’interesse per questo argomento è scaturito dal fatto che si è soliti  parlare  di capitale economico e di capitale culturale quali determinanti dello sviluppo e delle differenziazioni sociali, senza mai porre la dovuta attenzione alle relazioni e ai legami che si instaurano tra gli individui; relazioni che, invece, sono da considerare come “fattore aggiunto” per meglio comprendere sviluppo e disuguaglianza. La metodologia scelta per svolgere questo lavoro è la letteratura sociologica vista l’esistenza di molteplici fonti in materia, ma talvolta si è fatto uso anche  della documentazione presente in rete. Nello specifico ho soffermato la mia attenzione sui testi e i saggi scritti da alcuni tra i sociologi italiani più conosciuti: Arnaldo Bagnasco, Carlo Trigilia, Antonio Mutti e Fortunata Piselli.
Questi autori hanno ripreso e argomentato il pensiero di James Coleman e Pierre Bourdieu riguardo il concetto di capitale sociale mettendone in risalto le caratteristiche e le funzioni che entrambi gli attribuiscono.
La relazione è suddivisa in tre parti. Nel primo capitolo ci si è soffermati sulla definizione del concetto di capitale sociale e su come questo tema è stato affrontato nel dibattito sociologico Italiano.
Anzitutto si evidenzia come questo concetto si presti ad una molteplicità di definizioni a seconda della prospettiva teorica da cui lo si osserva; infatti, nelle scienze sociali contemporanee si è soliti distinguere tra un approccio macro-sociale che vede il capitale sociale come una risorsa di tipo collettivo,  e un approccio micro-sociale che invece guarda il capitale sociale come un risorsa di tipo individuale. Qui, ho trattato in breve della prospettiva macro-sociale perché nel dibattito sociologico italiano si è interessati a mettere in risalto il legame che intercorre tra capitale sociale, sviluppo economico e rendimento delle istituzioni. In particolare si insiste sulla capacità di questo concetto di spiegare i differenziali di sviluppo territoriale come ad esempio il divario tra Nord e Sud. Nel trattare di quest’aspetto, ho fatto riferimento all’opera di Robert Putnam: La tradizione civica nelle regioni italiane. Quest’autore definisce il capitale sociale come “la fiducia, le norme di reciprocità, le reti di impegno civico, che aumentano l’efficienza della società facilitando il coordinamento tra gli individui” (Putnam, 1993: 196). Quindi, evidenzia come fiducia e capacità cooperative siano determinate dalla condivisione di valori e norme e dalla volontà di privilegiare l’interesse collettivo a scapito di quello privato.
Si è scelto tuttavia, di soffermare l’attenzione sul confronto tra Pierre Bourdieu e James Coleman perché entrambi, pur appartenendo a due prospettive diverse, applicano la teoria del capitale sociale in relazione al campo dell’educazione con l’intento di spiegare il rapporto tra disuguaglianza e successo scolastico.
Nel secondo capitolo ho focalizzato l’attenzione sul concetto di capitale sociale in relazione all’approccio teorico di James Coleman: la Teoria della scelta razionale (TRS). Quest’ultima muove dal presupposto che l’ordine sociale va spiegato a partire dall’individuo e su di essa hanno influito sia il paradigma neoclassico dell’economia sia l’individualismo metodologico. Il paradigma neoclassico, perché muove da una concezione dell’individuo come essere razionale, cioè come attore che valuta razionalmente i mezzi rispetto ai fini che si propone; l’individualismo metodologico, perché afferma che per spiegare le cause dei fenomeni sociali e il comportamento degli attori sociali, occorre partire dalle motivazioni che spingono gli individui ad agire in un certo modo. Soffermandomi poi sul concetto di capitale sociale, Coleman lo definisce come “l’insieme delle relazioni di cui una persona dispone e al quale può ricorrere per raggiungere i suoi scopi” (Coleman, 1990).
Nel terzo capitolo, ho analizzato il concetto di capitale sociale in relazione alla prospettiva teorica di Pierre Bourdieu: lo strutturalismo genetico. Il suo pensiero rientra nella tradizione strutturalista francese  poiché essa pone l’accento sulla struttura sociale che, mediante le regole imposte, limita lo spazio di intervento del soggetto. Bourdieu, invece, sostiene che la struttura sociale condiziona, ma non determina l’agire individuale. Infatti egli afferma che gli attori sociali non sono automi che si conformano ai ruoli imposti loro dalla società, ma in quanto dotati di creatività, godono di un certa libertà nell’agire. Ho quindi evidenziato come Bourdieu applichi un approccio relazione alla spiegazione dei fenomeni sociali, il suo obiettivo infatti è quello di superare l’opposizione struttura/azione. Nel fare ciò Bourdieu introduce i concetti di habitus e campo contribuendo a mutare così l’oggetto delle scienze sociali, non più costituito da individui o gruppi, ma dalla relazione tra habitus e campo. Bourdieu (1980) definisce il capitale sociale come “un insieme di risorse, attuale o potenziali, derivanti dal possesso da parte di un attore sociale di una rete durevole di relazioni”. La relazione sociale quindi è centrale, poiché essa consente l’accesso alle risorse possedute dagli altri membri del gruppo di cui un soggetto fa parte.
Sia in Coleman che in Bourdieu il capitale sociale si presenta come risorsa strumentale. Nell’ottica individuale di Coleman, gli attori razionali, in genere, dispongono e cercano di acquisire determinate risorse per l’azione perché di queste hanno bisogno per raggiungere i propri scopi, tuttavia Coleman giunge a dimostrare come il capitale sociale costituisce sia una proprietà dell’individuo sia una proprietà della struttura. In particolare dallo studio “Equality of Educational Opportunity Study” emerge anzitutto che il capitale sociale costituisce una risorsa utile per scambiare informazioni in vista di un miglioramento e dall’azione e della posizione sociale dell’attore; in secondo luogo emerge il ruolo del capitale sociale nella creazione e nella riproduzione di relazioni sociali durevoli. Coleman ravvisa nell’esistenza di un rapporto genitore-insegnanti basato sulla cooperazione e la reciprocità, fattori rilevanti  per i processi di formazione e promozione dell’attività scolastica (Corchia, 2004).
Nell’ottica strutturalista di Bourdieu, invece, il capitale sociale si riferisce alle risorse che derivano dal possesso, da parte di un attore sociale di relazioni di mutua conoscenza o riconoscimento. L’autore, analizzando il sistema scolastico francese mostra come il capitale sociale sia funzionale al mantenimento e alla riproduzione della struttura sociale esistente, questo perché nell’ottica di Bourdieu, la scuola nasconde la violenza simbolica con cui l’insegnamento veicola i contenuti culturali che rappresentano gli interessi di classe.

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