martedì 21 ottobre 2014

Il lavoro a partita IVA nella crisi: implicazioni sociologiche

Il lavoro autonomo ha avuto un posto centrale nel dibattito sulle trasformazioni postfordiste del lavoro. In particolare il lavoro a partita IVA ha rappresentato per un certo periodo il riferimenti per le analisi sulla crisi del lavoro salariato e lo sviluppo di nuove forme di autoimprenditorialità. Con la crisi la consistenza del lavoro a partita IVA si è ridotta e la condizione socio-economica di questi lavoratori si è degradata. Su queste tematiche si sofferma la relazione finale di Giovanna Marino dal titolo "Il lavoro a partita IVA nella crisi: implicazioni sociologiche".

Il lavoro a partita IVA nella crisi: implicazioni sociologiche

La tematica di questa relazione è il lavoro autonomo. Questa particolare attenzione al lavoro autonomo nasce, oltre che da un interesse personale, anche dalla rilevanza che la diffusione del lavoro autonomo ha avuto nel dibattito teorico sulle trasformazioni del lavoro post-fordista.
Il lavoro autonomo è tornato periodicamente al centro dell’interesse di economisti e sociologi, a rivitalizzarlo è stato l’aumento della disoccupazione, la riduzione del lavoro dipendente e la parallela aspettativa che un’alternativa potesse trovarsi nell’autoimprenditorialità, nonché nella capacità occupazionale delle micro imprese, favorite dal contestuale mutamento delle strutture economiche-produttive e dalla terziarizzazione dell’economia.
In Italia, da un punto di vista giuridico, il “lavoro autonomo” è definito dall’articolo 2222 del Codice Civile che indica come lavoratore autonomo “colui che si obbliga a compiere a  prezzo di un corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti di un committente”.              
L’obiettivo di questa relazione è capire negli anni della crisi (2007–2014) l’andamento quantitativo del lavoro autonomo in Italia, la sua composizione per poi riflettere sulle implicazioni rispetto ai temi teorici.

Per presentare i risultati di questa ricerca, ho affrontato il tema del lavoro autonomo da tre punti di vista diversi. Nel primo capitolo ho preso in considerazione alcune tesi teoriche di sociologi che si sono occupati di recente di questo tema per comprendere le trasformazioni del lavoro post-fordista. In particolare ho fatto ricorso: alle tesi di Sergio Bologna e Andrea Fumagalli (1997) che affrontano il passaggio dalla forma salariata e subordinata alla forma indipendente o autonoma, alle dieci tesi per la definizione di uno statuto del lavoro autonomo che, a parere di Sergio Bologna, è costitutivo del lavoro ‹‹post-fordista››. Rilevante è inoltre anche il rapporto tra lavoratore autonomo e struttura sociale. Nell’analisi sulla struttura sociale ho considerato il testo di Costanzo Ranci (2012) che considera il lavoro autonomo nell’ambito dei ‹‹ceti medi indipendenti›› ovvero coloro che occupano una posizione intermedia, per classe e per ceto, nella società italiana.
Nel secondo capitolo si illustrano come sono classificati da un punto di vista normativo i lavoratori autonomi. Essendo il campo del lavoro autonomo vasto ho posto prevalentemente l’attenzione sui lavoratori con partita Iva perché sono sociologicamente rilevanti sia per le tesi sulle trasformazioni del lavoro, sia sulla stratificazione sociale.
Infine nel terzo capitolo il tema è affrontato con riferimento a informazioni statistiche. Per descrivere l’evoluzione del fenomeno ho fatto uso dei dati dell’osservatorio sulle partite Iva che forniscono informazioni di natura economica e fiscale. In particolare sono raccolte informazioni che riguardano la diffusione del lavoro con partita Iva, del cambiamento di questa categoria nel tempo, dei settori professionali nei quali le partite Iva sono particolarmente diffuse, dell’andamento quantitativo e della loro composizione.                                                                                                                                    
In base alla letteratura presa in considerazione per un’attenta definizione del lavoro autonomo, sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista empirico, risulta che il lavoro autonomo in Italia, sta cambiando.
Sulla base di informazioni statistiche trattate, fornite dall’osservatorio sulle partite Iva, si nota che il rapporto percentuale delle chiusure di partite Iva nell’anno 2012 sul numero di aperture è pari all’81%, invece nel 2013 il rapporto percentuale è di circa il 79%.
Focalizzando l’attenzione sugli anni 2011-2013 i settori di attività che hanno riportato il maggior numero di apertura di partite Iva sono il commercio, le attività professionali, le costruzioni e l’agricoltura.  In particolare nel 2013 le partite Iva ammontano a 527.082 in leggero calo rispetto al 2012 (-4,37%), dove al primo posto si consolida il commercio con il 24,5% sul totale, che rispetto all’anno precedente ha riscontrato una diminuzione del (-1,19%), seguito poi dall’attività professionali con il 14,1% (-9,48% rispetto al 2012), dalle costruzioni con il 9,2% (-12,01% rispetto al 2012) e dall’agricoltura con il 9,1% (-4,11% rispetto al 2012). Si nota inoltre un aumento di partite Iva rispetto all’anno 2012 nel settore delle attività finanziarie, dovuto quasi esclusivamente alla crescita degli intermediari delle assicurazioni.
Da quanto detto, si evince che le aperture di partite Iva diminuiscono anno dopo anno.
Da un punto di vista sociologico questo andamento ci porta a riconsiderare alcune tesi sul lavoro autonomo, in primo luogo quella di Bologna, il quale considera il lavoro autonomo come un nuovo modello di lavoro post-fordista dalla fine degli anni '90 ad oggi. Secondo Bologna il lavoro autonomo si stava rimodellando secondo il modello di “lavoro autonomo di seconda generazione”. Questa tesi appare oggi meno pertinente perché il lavoro autonomo nella fase attuale, non solo si è ridotto con la crisi (che ha eliminato quelle condizioni che ne avevano consentito lo sviluppo) ma si sta impoverendo e assume nuovi significati sociali; infatti si ha uno slittamento verso il basso della stratificazione sociale, si esce dal ceto medio, e si verifica un cambiamento della struttura sociale.
La realtà fatta emergere da Ranci, è una realtà molto più complessa perché accanto ad un ristretto numero di imprenditori e di liberi professionisti benestanti e privilegiati, esiste anche un grandissimo numero di lavoratori che vivono sulla soglia della povertà e che soffrono più di qualsiasi altra categoria professionale gli effetti della crisi economica in corso, si trovano in forte difficoltà, non riescono a sostenere il carico fiscale, entrando in conflitto con lo Stato, si stanno impoverendo, slittano verso il basso nella stratificazione sociale, uscendo dalla classe media.
Inoltre a differenza del passato, la crisi delle aziende non sta alimentando la nascita di nuovi lavoratori autonomi. Questo processo si è verificato in Italia nelle crisi economiche precedenti, soprattutto al Nord. L’esternalizzazione di processi da parte delle imprese ha favorito la nascita di nuove partite Iva ma i dati a disposizione dimostrano invece che questo fenomeno non si sta verificando nella crisi odierna.

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