sabato 1 marzo 2014

Clownterapia: la pratica lavorativa e la figura professionale

La clownterapia è una pratica medica e di assistenza socio-sanitaria che sfida le conoscenze tradizionali sia in campo medico, sia in campo socio-prisologico. Basata su alcune ipotesi scientifiche sull'uso terapeutico del sorriso e della maschera del clown, questa pratica richiede l'innovazione dei sistemi tradizionali di organizzazione dei servizi sanitari e assistenziali per includere nuove figure professionali non standard e pratiche professionali che si discostano da quelle canoniche di cura e assistenza. Di queste innovazioni se ne fanno carico quasi sempre le organizzazioni del Terzo settore. Su queste problematiche si focalizza il lavoro di Giusi Annunziata nella relazione finale della laurea triennale in Sociologia dal titolo "Clownterapia: la pratica lavorativa e la figura professionale".

Clownterapia: la pratica lavorativa e la figura professionale
di Giusi Annunziata

Il mio lavoro di ricerca sul clown inteso come esperienza d’integrazione psicofisiologica nasce oltre che da un interesse personale per l’argomento, dalla necessità di definire la figura del clown sia dal punto di vista artistico sia come “figura terapeutica”, inserendosi fuori da un palcoscenico nella sfera dell’assistenza socio-sanitaria.
 L’esperienza dell’ospedalizzazione rappresenta un momento di difficoltà per il malato, rappresenta un’interruzione dalla dinamica del quotidiano, una limitazione dei suoi interessi, dei suoi desideri, dei sui rapporti, dei sui spazi e delle sue attività. L’esperienza del bambino si forma attraverso il gioco, le relazioni con altri bambini, trovandosi in una esperienza ospedaliera, percepisce i problemi legati alla sua salute, problemi di razionalizzare il luogo di cura sanitario.
 In questo contesto è stata prestata attenzione alle diverse forme di animazione che contribuiscono a rendere più accogliente l’ospedale per i bambini. Il punto di partenza del mio lavoro è la Clownterapia: una nuova terapia che nasce non solo come cura alternativa alla sofferenza di degenti ospedalieri o di soggetti in situazioni di disagio, ma anche come cura dei clown-dottori. Questi sostengono una filosofia di cura incentrata sulla ricerca del benessere emotivo e fisiologico.
 Ho cercato di comprendere quanto fosse utile per un paziente ospedaliero una “terapia del sorriso” e come, la nuova figura professionale del Clown-dottore, ma anche degli operatori assistenziali, opera nei diversi luoghi di disagi. Si osserva che la clownterapia è occasione di solidarietà che si realizza attraverso un’opera sociale condotta da volontari, ma anche come stimolo per i giovani e gli adulti clown-dottori a migliorarsi e a crescere in rapporto con altri soggetti che individuano la stessa visione.
Il ruolo del Clown Dottore può essere svolto da un operatore socio-sanitario professionale che applica le conoscenze della Gelotologia, ma anche più semplicemente da volontari o da membri del personale medico. Studiando le teorie riferite al tema in esame, ho acquisito una dettagliata conoscenza della Clownterapia, definita pure come la “terapia del ridere”, evidenziando che essa è terapeutica non solo per chi la riceve ma anche per chi la produce. L’umorismo, infatti, scatena dei processi subconsci alla fine dei quali si ha una generazione di piacere in entrambi i soggetti partecipanti all’evento umoristico.
Interesse specifico è stato dedicato alla figura del clown. La figura del clown è un’immagine che esiste da sempre, le sue origini sono  legate alla storia e al mondo circense che, a sua volta, ha origini molto più antiche. Queste radici si possono rintracciare in tutti quei personaggi che nella loro vita hanno avuto il prestigioso compito di far sorridere. L’origine si può far risalire al 1980, quando un clown professionista di nome Michael Christensen, decise di rallegrare un reparto di pediatria di New York. Michael Christensen riuscì a creare, nel 1986, la fondazione “The Clown Care Unit” che opera ancora oggi senza scopo di lucro. Dunque, dal riconoscimento istituzionale, il clown ha abbandonato i suoi tradizionali luoghi per entrare a contatto con un ambito diverso: quelle delle strutture socio-sanitarie. Il clown è da sempre identificato come un pagliaccio,  come una figura buffa  che tutti riconoscono che opera in un teatro, al circo o in altre situazioni di intrattenimento. Nell’introdurre la figura del clown, ho sottolineato lo sdoppiamento del Clown in due figure caratteristiche: il Clown bianco e l’Augusto. Il primo incarna la figura autoritaria dei genitori, il secondo, l’Augusto incarna la figura del bambino capriccioso.
 Nel nostro caso la tradizionale figura del clown si è trasformata in una figura professionale socio-sanitaria, insieme al naso rosso porta con sé un camice, ma non uno tradizionale da dottore, bensì un camice che lo aiuti a sdrammatizzare con l’aspetto circense la paura e l’ansia delle pratiche terapeutiche. Quest’approccio si pratica in vari luoghi: in ospedale, in case di riposo, in case di accoglienza e in tutte quelle situazioni in cui l’individuo si trova a fronteggiare uno stato di malattia: sia esso di natura sociale, psicologico o fisico. Ho elaborato il mio lavoro nell’intento di cercare di capire all’interno della nostra società come i pazienti ricoverati, percepiscono e vivono le proprie paure. L'atteggiamento positivo può condurre a un sollievo fisico, psichico e sociale, indispensabili per alleviare la sofferenza e migliorare la qualità di vita individuale. Con la nascita di Associazioni, volte a effettuare interventi di Clown-Terapia, parte delle tensioni e ansie che si sviluppavano nei reparti, sia nei degenti sia negli operatori sanitari, è diminuita.
 La vista di personale qualificato, che sa unire le capacità del teatro da strada con il saper ridere di se stessi, porta una scia di allegria che per un attimo ci fa dimenticare per un po’ di essere sofferenti, preoccupati, ansiosi, intolleranti e impazienti. Tempo addietro le Associazioni di Clown-Dottori presenziavano solo in reparti di Pediatria, oggi il campo di intervento si è ampliato anche a degenti più adulti. Sorridere e far sorridere può dunque diventare un intervento assistenziale che promuove il miglioramento della qualità di vita del soggetto e del suo benessere psichico, fisico e sociale.
Ho ripercorso le tappe della nascita della terapia del sorriso sino all’approfondimento del lavoro svolto dal medico americano Patch Adams, fondatore di una clinica americana che cura i degenti attraverso metodologie ludiche. La mia attenzione è stata rivolta all'esperienza personale di questo personaggio che ha fatto del “sorriso” un metodo  innovativo per entrare in relazione con la persona da assistere, per comprenderne i bisogni di salute e attuare successivamente i relativi interventi, rendendo la persona partecipe ad esse.
Oggi il dottor Patch Adams è conosciuto in tutto il mondo come colui che ha portato la clown-terapia negli ospedali. Lo stesso Patch Adams definisce questo progetto come un “sogno”, ovvero una struttura  “completa “ che non seziona le persone in base ai problemi ma quest’ultime, una volta arrivate in questo Istituto, vengono ascoltate, aiutate come in una grande famiglia dove i bisogni fisici non vengono divisi dai bisogni mentali. In questo modo il percorso terapeutico diviene un percorso capace di mettere in gioco tutti quelli che vi entrano.
 Attraverso l’analisi della letteratura ho rintracciato alcuni casi in Italia, identificati come “buone pratiche” soffermandomi, sulle innovazioni che l’Ospedale Mayer di Firenze e l’ospedale di Padova hanno introdotto a riguardo: la novità del primo è stato instaurare un rapporto intenso tra un animale a quattro zampe accompagnato da un educatore clown e il paziente, per alleviare la sofferenza di quest’ultimo. In questo caso il cane, con uno speciale addestramento porta  uno stimolo psicologico nonché allegria alle giornate del bambino. Il cane, si dimostra essere un mezzo per ripristinare i contatti con altre persone, per esternare le proprie emozioni, e soprattutto un’occasione di gioco e di scambi affettivi.
 C’è da sottolineare che l’Ospedale Mayer è l’unico in Italia che ha pensato questo “nuovo metodo” di cura. Sicuramente la struttura ospedaliera citata, adottando questa terapia, “Pet Therapy”, coniato dallo psichiatra infantile Boris Levinson che, nel 1953, durante una seduta con un bambino autistico, si accorse di come la presenza del suo cane migliorava nel bambino la voglia di interagire con il terapeuta (il bambino era più disponibile ad  intraprendere un colloquio), ma anche la voglia giocare con l'animale aumentava. Tale osservazione, portò il dottor Levinson ad iniziare le prime ricerche in merito.
 La seconda esperienza riguarda il progetto Pi. Gi. Bi. “Gioco e Benessere” per il bambino ricoverato del Dipartimento di Pediatria dell'ospedale di Padova. L’ospedale di Padova ha dato il via a un percorso di trasformazione agli inizi degli anni Novanta con il progetto: “L’avventura dell’orsetto Paddi”, il punto di inizio è stato chiedere ai bambini quale fosse il loro compagno di giochi preferito, la risposta è stata la stessa per molti di loro: “L’orsetto di peluche”. E così è nato il peluche Paddi: un orsetto di peluche con un cerottino sulla testa (per farlo sentire ancora di più accanto a loro) e di colore verde-azzurro, diventando così il logo del Dipartimento di Pediatria. L’obiettivo era quello di consentire al piccolo paziente di stare meglio in ospedale e soprattutto di poter continuare ad essere bambino nonostante il ricovero. Elemento principale all’interno dell’ospedale di Padova è il “Pi.Gi.Bi.” ovvero Progetto Gioco e Benessere, che ha l’obiettivo di migliorare la qualità della vita del bambino ricoverato e abbracciare gli aspetti fondamentali del suo percorso di crescita: il gioco, la scuola e la creatività. Inoltre, sono stati costruiti laboratori che hanno obiettivo primo la felicità del bambino.
  • Laboratori serali di cartotecnica e modellazione: quest’attività è peculiare nell’ospedale di Padova e ricopre la fascia oraria dalle 19 alle 21, che precede la fase dell’addormentamento, poiché il coinvolgimento di modellazione è risultato molto utile per placare le angosce del piccolo prima di addormentarsi. 
  • Laboratorio con materiale sanitario: grazie all’iniziativa di quest’attività si è voluto dare, al piccolo paziente, conoscenza di oggetti e strumenti medici. In questo modo il bambino si immedesima dottore e può dare libero spazio alla propria fantasia trasferendo sui pupazzi il proprio vissuto, le proprie paure e angosce, ridimensionando così l’aspetto della malattia. 
  • Laboratorio di pasticceria: è stato attivato nel 2003 in collaborazione con pasticceri della città un laboratorio dove i bambini possono imparare ad usare pasta frolla e cioccolata per la creazione di dolci di varie forme. L’iniziativa nasce con l’intento di rafforzare l’autostima del piccolo, che pur trovandosi in una situazione di apatia, si scopre capace di produrre qualcosa di originale da condividere con gli altri. 
  • Laboratorio di informatica: questo progetto, nato nel gennaio del 2007, prevede l’uso del Pc portatili dotati di Web cam, che vengono messi a disposizione dei piccoli per partecipare a laboratori di informatica, guidati da un esperto.

 Quest’ultimo deve avere l’opportunità, proprio come gli altri suoi coetanei, a esprimere la sua creatività, che molte volte viene ridotta dalla malattia. Il lavoro effettuato nell’ospedale di Padova si è dimostrato efficace per la creazione di quella base comunicativa che può facilitare l’adattamento del bambino ricoverato dando così “continuità” alla sua crescita.
 Ho concluso il mio lavoro con un’intervista ad una figura che opera nel settore preso in esame. Il soggetto intervistato è stato Riccardo Casaletta, ovvero presidente dell’Associazione “Smile&Friends Onlus”: un’Associazione italiana di volontariato per assistenza a minori, anziani e tutte le categorie con disagio sociale, mi ha potuto elencare le intenzioni  che lo hanno spinto a fondare un’Associazione di Clown-dottori. Ho preferito intervistare il presidente dell’Associazione perché ho potuto capire le intenzioni che lo hanno spinto a fondare un’Associazione di Clown-dottori. Il suo obiettivo è stato avvicinarsi in prima persona ai bambini ricoverati, i quali non potendo giocare e socializzare con i propri coetanei, ha cercato di “trasferire” i  loro bisogni all’interno di una struttura ospedaliera. Quindi sollevarli dal loro malessere e cercando di eliminare le emozioni negative attraverso le attività ludiche.
Il Clown volontario lavora in coppia con un altro Clown, sfruttando, quindi le arti del Clown, per cambiare il segno delle emozioni negative delle persone che vivono un disagio sanitario e/o sociale. Essi, a seconda del contesto, possono effettuare comicoterapia passiva (far ridere) o attiva (essere stimolatore di produzione comico/umoristica da parte dei suoi interlocutori).
 Trasformando, così il reparto o la camera d’ospedale - cornici fredde e distaccate dove vivono i pazienti - in un ambiente magico, in cui la risata si fa strumento di gioia e sicurezza, incoraggiando al dialogo, quale forma essenziale di interazione e legami.   Gli incontri con i pazienti avvengono due volte alla settimana con una durata di tre ore circa, instaurano con i pazienti un rapporto diretto, poiché ogni intervento è totalmente personalizzato. Il Loro compito è sdrammatizzare le pratiche sanitarie, mutare segno alle emozioni negative, farle esprimere, gestirle e virarle al positivo, verso il sorriso, il coraggio, la speranza, la gioia e il riso.
 A fianco dello staff ospedaliero composto dalle tradizionali professioni sanitarie “standard“ (come dottori, assistenti sociali, infermieri, psicologi) che sono interessati per la cura dei pazienti, si sono aggiunte nuove professioni “non standard”, tra queste ci sono i Clown Dottori.  La mia intenzione è stata quindi quella di presentare questa nuova figura del Clown come una vera innovazione all’interno degli ospedali.  Un clown che deve la sua nascita al circo e deve il suo successo alla goffaggine, all'essere fuori dagli schemi, sempre esagerato, che divengono però i suoi elementi distintivi. Proprio questi elementi lo conducono a divenire una figura, riconosciuta da pochi anni, come efficiente strumento terapeutico.
 Abbracciando una figura sociale ibrida: un mix di qualità che rimandano a ruoli socio-professionali, un vero pagliaccio vestito da medico; vedendo così un cambiamento, sia sanitario che socio-educativo, favorendo l'inserimento di questa bizzarra, ma così tanto umana, figura. 

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