giovedì 15 ottobre 2015

La condizione socio-economica del cassaintegrato durante la crisi: un esercizio di osservazione empirica

Il mercato del lavoro italiano a partire dal 2008 ha risentito degli effetti negativi della crisi economica che ha coinvolto tutta l'Europa dopo la crisi finanziaria statunitense. La riduzione dell’occupazione nel settore privato in Italia è stata ammortizzata principalmente facendo ricorso alla cassa integrazione facendo riemergere nel mercato del lavoro nazionale la figura sociale del cassaintegrato. Il lavoro di Carla Abronzino si colloca in questo contesto e indaga la condizione di vita delle persone che sono colpite da cassa integrazione straordinaria e in deroga e che quindi hanno elevate probabilità di perdere l'occupazione, soffermandosi sulle trasformazioni della vita relazionale e della socialità del cassaintegrato.

La condizione socio-economica del cassaintegrato durante la crisi:
un esercizio di osservazione empirica

La prima parte di questo lavoro è stata dedicata alla ricostruzione storica del passaggio dalla crisi finanziaria statunitense, esplosa nell’anno 2007, alla crisi economica mondiale avviatasi nel 2008, che ha colpito anche il nostro Paese, in riferimento al quale si è cercato di delineare quali conseguenze essa ha provocato, peggiorando la situazione di debolezza che già esso attraversava, soprattutto per quanto concerne la qualità del mercato del lavoro. Dalla crisi dei mutui sub-prime americani, il cui disseto, ha provocato nell’anno 2007 lo scoppio della bolla immobiliare U.S.A. (Salsano, Lombardi, 2009), la crisi si propaga a tutti i principali Paesi del mondo.
La perdita di fiducia tra i Paesi che avevano acquistato i titoli cartolarizzati americani, scaturita dalla presa di coscienza che si trattava di titoli “tossici” con il fallimento della banca statunitense Lehman Brothers il 15 settembre 2007, si trasformò ben presto in una crisi di liquidità per mezzo della quale le banche smisero di prestarsi soldi a vicenda.
Da una crisi finanziaria si è passati ad una crisi che ha colpito l’economia reale di tutti quei Paesi, anche se con intensità e modalità variabili, che intrattenevano rapporti con gli Stati Uniti. 
La perdita di fiducia, che si materializza con la perdita di liquidità, blocca gli investimenti e fa calare i consumi, il cui calo fa ridurre la produzione e aumentare la disoccupazione. La disoccupazione, a sua volta, genera un abbassamento drastico dei consumi (Salsano, Lombardi, 2009).
L’Italia, che sembrava essere al riparo dalla crisi per la solidità del suo sistema bancario, in realtà è annoverata tra quei Paesi che maggiormente hanno risentito della crisi globale.
La contrazione del commercio internazionale sopravvenuto alla crisi, causa, sia della perdita di fiducia tra i Paesi, sia del drastico calo dei consumi delle famiglie, ha avuto ripercussioni negative amplificate per i paesi esportatori operanti soprattutto nel settore manifatturiero (es Giappone, Germania, Italia) (Crescenzi, 2010).
 L’Italia, è stata colpita, infatti, dalla crisi soprattutto con il crollo della domanda dei beni e sevizi dall’estero (D’Ippoliti, Roncaglia, 2011).
A ciò si aggiunge che l’Italia, fronteggiava già una fase di debolezza dovuta a problemi strutturali irrisolti, fatta di ristagno, perdita di competitività e di reddito pro-capite rispetto agli altri partner europei (D’Ippoliti, Roncaglia, 2010) e alla fine del 2007, registrava già un debito pubblico superiore al 100% del Pil (Daveri, 2013).
A partire già dagli anni ’90 l’Italia non vantava la crescita della produttività (Pugliese, Rebeggiani, 2004) a seguito di una serie di riforme, le quali hanno modificato il modello di sviluppo economico e le relazioni industriali del nostro Paese, tese a ridurre la disoccupazione che aveva caratterizzato gli anni ’80 e a rendere il mercato del lavoro italiano più competitivo (Salsano, Lombardi, 2009).
Dalla seconda metà degli anni ’90, la riduzione della disoccupazione si realizza, ma la produttività non segue il suo passo, per la concentrazione del numero degli occupati nel settore dei servizi, il quale si caratterizza per la bassa produttività rispetto a quello dell’industria (Pugliese, Rebeggiani, 2004).
Questo nuovo modello di sviluppo, teso a rendere più flessibile l’entrata e l’uscita dal lavoro, ha portato il mercato del lavoro italiano a caratterizzarsi, già prima dell’avvio della crisi, per la bassa crescita della produttività, i bassi investimenti da parte delle imprese, la compressione dei salari, l’alto utilizzo della forza lavoro, la precarietà e l’utilizzo di contratti di lavoro atipici.
Ben prima del contagio della crisi economica mondiale, per l’Italia pesa la cattiva transazione dell’ordine sociale, dal modello produttivo fordista-taylorista a quello attuale (Revelli, 2010).
La contrazione del commercio internazionale, dovuta alla caduta della domanda di beni e servizi esteri e all’inasprimento dei rapporti sui mercati internazionali, susseguita alla crisi economica mondiale, ha portato le imprese italiane ha trovarsi in estrema difficoltà, una difficoltà che non poteva non ripercuotersi sull’occupazione.
L’istituto della Cassa integrazione guadagni e la famiglia sono stati nel nostro Paese, i principali ammortizzatori sociali che maggiormente hanno contribuito a mitigare gli effetti della crisi del mercato del lavoro. La famiglia, ha cercato di sostenere i giovani, i quali sono stati maggiormente investiti dalla difficoltà relative all’ingresso del mondo del lavoro per la contrazione delle opportunità occupazionali. La CIG ha rappresentato, invece, la soluzione immediata per proteggere soprattutto i lavoratori adulti dalla perdita del lavoro (Meo, 2013).
La seconda parte di questo lavoro è stata per questo dedicata alle tre diverse tipologie di CIG alle quali le aziende in difficoltà possono far ricorso nel nostro Paese, tentando una comparazione tra il ricorso alla CIG nel periodo precedente lo scoppio della crisi 2008-2009, e il ricorso ad essa con lo scoppio della crisi.
Dall’avvio della crisi in Italia, le imprese hanno incrementato notevolmente il ricorso alla CIG. Dai dati Inps si rileva che dai circa 185 milioni di ore CIG autorizzate nel corso del 2007, si passa nel 2008 a circa 229 milioni e nel 2010, l’anno in cui si ha l’incremento massimo di ore autorizzate, si contano circa 1 miliardo e 200 milioni di ore.
Per l’anno 2014, contiamo ancora più di 1 miliardo di ore CIG autorizzate.
Dal 2008 al 2014, dai dati Inps, emerge che le ore di Cassa integrazione straordinaria autorizzate superano quelle relative alle altre tipologie di CIG e che il ramo di economia, per il quale si è fatto in questi anni, il ricorso maggiore alla CIG è quello industriale, seguito dal settore edile fino all’anno 2009 e a partire dall’anno 2010, dal commercio.
La CIG, come intervento volto a proteggere i lavoratori dai licenziamenti, per situazioni negative temporanee che gravano sulla produttività di un’impresa, e al contempo mirato a dare la possibilità all’ impresa di migliorare le sue condizioni economiche, faceva parte del suo progetto originario (Magnani, 2010), venuto meno già negli anni ’80, gli anni in cui la CIG ha rappresentato il principale strumento di politica del lavoro grazie al quale sono stati favoriti i processi di ristrutturazione  dell’industria che hanno caratterizzato quegli anni, (Rebeggiani 1990) e acuitosi con la crisi attuale.
Come già sottolineava Rebeggiani (1990), “L’evoluzione recente dell’impiego della Cassa integrazione Guadagni ha mostrato che nella maggior parte dei casi il lavoratori, una volta sospesi, hanno scarsissime probabilità di tornare ad occupare il proprio posto di lavoro” (p.11).
Si prenda come esempio, il “caso Fiat” verificatosi all’inizio di quegli anni che vide, dopo l’utilizzo della CIG per la riduzione degli organici, l’avvio di licenziamenti veri e propri (Pugliese, Rebeggiani, 2004).
È con la consacrazione delle altre due tipologie di CIG, straordinaria e in deroga, che la configurazione originaria per la quale era nato l’istituto muta.
Tratto imprescindibile, infatti, affinché si potesse far ricorso al trattamento della CIG era la transitorietà dell’evento che aveva provocato la difficoltà produttiva dell’impresa e la ripresa certa della ripresa a pieno titolo dell’attività del lavoratore superata tale difficoltà.
Le situazioni, invece, che ammettono il ricorso alla CIGS e alla CIGD implicano spesso la difficoltà della ripresa dell’attività, così come si presentava in precedenza, e spesso quindi determinano un’eccedenza di personale che si traduce nel licenziamento degli esuberi.
 La Cassa integrazione ordinaria è l’unica tipologia di CIG a mantenere inalterata la funzione per le quale era nato l’istituto (Magnani, 2010).
Sia nel corso degli anni ’80 che negli anni della crisi attuale, dal 2008 ad oggi, il ricorso maggiore alla CIG ha interessato soprattutto le regioni centro-settentrionali sia per il maggior peso che l’industria manifatturiera ha in questa parte d’Italia, sia per il minor “grado di ammodernamento delle imprese meridionali” come suggeriscono Pugliese e Rebeggiani (2004).
Nell’ultima parte di questo lavoro si è cercato di comprendere quali problematiche socio-economiche si ritrovano a dover affrontare i cassaintegrati di oggi, quelli sui quali a pesare è anche un mercato del lavoro che, a seguito della crisi economica, che dal 2008 ha colpito anche il nostro Paese, non offre certezza e stabilità.
 Si è cercato, quindi, attraverso un esercizio di osservazione empirica realizzato nel mese di agosto 2015, di far emergere, attraverso la conduzione di un’intervista qualitativa di tipo semi-strutturato, il punto di vista soggettivo delle problematiche legate alla sottoposizione al trattamento CIG, di due cassaintegrati campani.
La scelta è ricaduta su cassaintegrati, di nostra conoscenza e pertanto facilmente raggiungibili, sottoposti alle tipologie di CIG, straordinaria e in deroga, che a partire dalla crisi economica, dal 2008, hanno prevalso sulla Cassa integrazione ordinaria, la quale è l’unica che presuppone la ripresa a pieno titolo dell’attività lavorativa al termine della fruizione del trattamento, per far emergere le difficoltà vissute da cassaintegrati consapevoli dell’incertezza relativa alla ripresa a pieno titolo della loro attività lavorativa. 
Inoltre, si è scelto di intervistare suddetti soggetti, entrambi di sesso maschile e sposati con figli, perché appartenenti a fasce di età differente, aventi rispettivamente il primo 50 anni e il secondo 36 anni.
Fasce di età diverse, perché si è ipotizzato che in base a questa differenza le difficoltà derivanti dalla condizione di cassaintegrato potessero essere diverse, il più giovane, teoricamente, avrebbe dovuto mostrare maggiori risorse soggettive per superare tali difficoltà.
Ma, l’analisi delle interviste condotte ha confutato la nostra ipotesi, in quanto il cassaintegrato più maturo ha mostrato, rispetto al più giovane, più ottimismo circa le sue risorse soggettive per affrontare la condizione vissuta e il suo incerto futuro lavorativo.
Il nostro primo cassaintegrato è un operaio elettrico di una famosa azienda S.p.A., operante nel settore aereonautico sottoposto alla CIGS, il secondo è un dipendente amministrativo di un centro di fisioterapia per ragazzi con distrofia muscolare, sovvenzionato dall’Asl e dalla Regione, sottoposto alla CIGD.
Si è preferito quindi, nell’operare la scelta, circa i cassaintegrati da intervistare, di sottoporre ad analisi un dipendente di un’azienda famosa con molti dipendenti e un dipendente di un centro, non famoso, con pochi dipendenti; affinché si potesse comprendere se essere dipendente di un’importante azienda o meno faccia per i cassaintegrati qualche differenza circa la condizione vissuta.
Possiamo, infatti, concludere che i cassaintegrati dipendenti di aziende famose, con molti dipendenti, si sentono maggiormente tutelati rispetto ai cassaintegrati delle piccole aziende, in quanto il nostro primo cassaintegrato, come i cassaintegrati Fiat intervistati da Meo (2013), si sente rassicurato dal fatto che i mass-media, l’opinione pubblica e lo Stato parlano e si interessano delle problematiche delle loro aziende, le quali non risultano per questo essere anonime.
Dall’analisi delle interviste è emersa l’incertezza rispetto al proprio futuro vissuta dai cassaintegrati, unitamente al timore di non riuscire a trovare, soprattutto in Italia, una nuova occupazione, nel caso venissero licenziati, adatta alle proprie esigenze in questo periodo di crisi economica.
Dalle dichiarazioni dei cassaintegrati intervistati comprendiamo che il trattamento della Cassa integrazione, seppur strumento teso a proteggere il lavoratore, il quale comunque continua ad essere occupato e a percepire un’indennità, non garantisce il benessere socio-economico del cassaintegrato. 
La contrazione dello stipendio lo obbliga a fare delle rinunce o addirittura a ricorrere a prestiti che pesano sulla qualità della vita, il tempo libero che dalla CIG discende è vissuto come un tempo libero forzato e pertanto non gradito, i cassaintegrati intervistati, infatti, preferirebbero lavorare e sottolineano la gratificazione che per essi discende dal lavorare per guadagnarsi lo stipendio.
Inoltre, come lamentano gli intervistati della ricerca di Meo (2013), non sempre la normativa che disciplina i requisiti in base ai quali i dipendenti di un’azienda, che usufruisce della Cassa integrazione, devono essere sottoposti a CIG viene rispettata e in questi casi la sottoposizione al trattamento pesa ancora di più.
Il nostro primo intervistato, infatti, dichiara che spesso la Cassa integrazione viene corrisposta tra i lavoratori della sua azienda in maniera discriminatoria non rispettato le rotazioni tra i lavoratori che ricoprono lo stesso ruolo.
Emerge inoltre, dall’analisi delle interviste che alla luce degli effetti della crisi mondiale in Italia, la speranza, legata alla mera possibilità di tornare ad occupare il precedente “posto di lavoro”, la certezza del sussidio mensile legato alla CIG e l’impossibilità di intrattenere un’ulteriore attività lavorativa regolare pena perdita del sussidio, unitamente alla difficoltà di trovare un’altra occupazione sono condizioni che destabilizzano, anche dal punto di vista psicologico il cassaintegrato. Infatti, entrambi i nostri intervistati dichiarano di non aver provato nemmeno a cercare un’altra occupazione, regolare o non, ma attendono che le loro sorti lavorative siano dettate dalle sorti dell’azienda della quale risultano dipendenti. 

Bibliografia citata
Crescenzi A. (a cura di) (2010), La crisi mondiale. Storia di tre anni difficili, Luiss University, Roma.
Daveri F. (2013) “Macroeconomia della crisi” in Macroeconomia, N.G. Mankiw M.P. Taylor, Zanichelli.
 D’Ippoliti C., Roncaglia A. (2011) “L’Italia: una crisi nella crisi”, in Moneta e Cardito, vol 64 n.255, pp 189-227.
Magnani M. (2010), “L’uso allargato della Cassa integrazione tra emergenza e ricerca di una logica di sistema”, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2/2010, pp 409-421.
Meo A. (2013), “Operai in Cassa integrazione. Vulnerabilità e impoverimento”, in Rassegna italiana di Sociologia, a. LIV, n.2, aprile-giugno 2013, pp 253-278.
Pugliese E., Rebeggiani E. (2004), Occupazione e disoccupazione in Italia dal dopoguerra ai giorni nostri, Edizioni Lavoro, Roma.
Rebeggiani E. (1990), Disoccupazione industriale e Cassa integrazione. Una ricerca sulla condizione dei cassintegrati a Napoli, Liguori, Napoli.
Revelli M. (2010), Poveri, noi, Einaudi G., Torino.
Salsano E., Lombardi R. (2009), Crisi finanziaria e crisi reale. Analisi ed effetti, Gaia, Salerno.

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