mercoledì 8 luglio 2015

Impresa, innovazione e crescita economica: la promozione delle startup innovative

Le teorie socio-economiche sull’innovazione sono state fortemente rivalutate nella definizione delle attuali politiche per la crescita economica e la competitività d’impresa su scala europea. Particolare enfasi è stata posta sulla necessità di promuovere politiche specifiche per la creazione di nuove imprese “innovative”. In questa direzione anche in Italia è stato introdotto con il cosiddetto decreto “Crescita 2.0” uno strumento che, dal 2013, sostiene e incentiva la creazione di imprese startup innovative, basate cioè sulla valorizzazione economica della ricerca e della conoscenza scientifico-tecnologica. Sulla comprensione degli effetti di questa misura si sofferma Assunta Liguori nella sua relazione finale dal titolo «Impresa, innovazione e crescita economica: la promozione delle startup innovative».

Impresa, innovazione e crescita economica: la promozione delle startup innovative

Questo elaborato muove dalla volontà di comprendere le potenziali opportunità e l’effettiva condizione di applicazione delle startup a supporto dell’innovazione e del mercato del lavoro. Le dinamiche di azione delle imprese startup si stanno, infatti, rivelando funzionali per il mondo del lavoro in un periodo difficile dove, complice la crisi a livello globale, bisogna ingegnarsi per creare posti di lavoro e per contenere le spese.
Nel primo capitolo si discute del concetto di innovazione e dei suoi scopi, attraverso una rassegna storico-teorica che parte dalle definizioni date dalla sociologia dell’organizzazione, che evidenzia del concetto di innovazione, la sua riproducibilità in ambiti soprattutto caratterizzati da atmosfere di rischio ed incertezza e del suo ruolo di gestione delle stesse. L’innovazione, quindi, si definisce come strumento di ricerca nel rapporto tra l’accesso alle risorse che permettono alle imprese di nascere, crescere e riprodurre le dimensioni organizzative; fino ad arrivare a quelle della sociologia economica, che pone l’attenzione sulla collocazione delle reti dell’attore individuale che agisce all’interno di un’impresa, o dell’impresa in quanto tale, oppure come attore collettivo. In altre parole si guarda al tipo di relazione che l’innovatore, o l’impresa che innova, intrattengono con gli altri soggetti e alle conseguenze per il processo innovativo, strutturando ipotesi sui diversi meccanismi sociologici basati sulle relazioni ovvero sul capitale sociale dell’imprenditore, sulle relazioni tra imprese ma anche su relazioni tra imprese e centri di ricerca.
 Si passa poi per un esame sui pensieri di autori rilevanti come Coleman, Katz, Menzel e Malerba, che hanno concentrato parte dei loro studi sull’innovazione, secondo i quali la diffusione delle innovazioni si basa sul tipo di relazione tra gli attori coinvolti
Risulta meritevole di attenzione il pensiero dell’economista e sociologo austriaco Schumpeter, che fornisce una teoria dell’innovazione, attraverso la quale distingue i fenomeni di crescita e sviluppo. Secondo l’Autore, infatti, la vita economica è da intendere come un flusso circolare, che ripercorre continuamente lo stesso cammino, e l’innovazione in questo senso è il motore dello sviluppo, è dunque la capacità di «realizzare cose nuove»: nuovi prodotti, nuovi metodi di produzione, l’apertura di mercati, la scoperta di fonti di approvvigionamento di materie prime, la riorganizzazione di un’industria, e tutto ciò come il risultato dell’azione degli imprenditori. Ciò consente alle imprese di essere in competizione tra loro, non sul piano prettamente economico, facendone quindi una questione di prezzo, ma una competizione di tipo tecnologico e organizzativo, dando vita all’apertura di nuove idee.
Inoltre Schumpeter traccia la demarcazione tra “invenzione” e “innovazione” concependo l’innovazione come un concetto disgiunto rispetto a quello di invenzione. Ci può infatti essere innovazione senza alcun tipo di invenzione, poiché le nuove invenzioni dal canto loro, non provocano da sole alcun effetto economicamente rilevante. Il capitolo si è concluso con un’analisi al rapporto tra imprenditorialità, innovazione e impresa, tracciando, in particolar modo, il profilo dell’imprenditore e di come quest’ultimo abbia contribuito in modo sostanziale al processo di sviluppo dell’innovazione.
Nel secondo capitolo si esamina il rapporto tra politiche pubbliche e startup, un’interdipendenza che consente l’avvio di una startup sul mercato, mettendo in risalto la relazione socioeconomica che può intercorre tra una startup innovativa, in quanto utente che auspica al soddisfacimento di specifici bisogni socioeconomici. Ciò viene reso possibile dai policy maker, che individuano e selezionano i bisogni che reputano meritevoli di attenzione, e per consentirne la realizzazione, nella quale convogliano a sua volta tutta una serie di interessi che di fondo sono anche strategici e autoreferenziali, forniscono specifici metodi e strumenti.
La politica pubblica in questo senso, è in grado di offrire e costituisce un effettivo supporto nell’istituzionalizzazione di una realtà di startup innovativa, dalla sua nascita fino a tutta la sua esistenza.
 Viene in seguito presentata un’attenta analisi riguardante il concetto di startup come forma di sostegno all’innovazione, mettendo in primo piano la normativa relativa al decreto legge sulla “Crescita 2.0”: legge 221 del 19 dicembre 2012, inerente alla nascita delle startup. La legislazione garantisce a queste nuove realtà imprenditoriali, oltre a garantirne l’esistenza, ad essere anche considerate sotto un più funzionale punto di vista, ossia non solo come strutture eroganti servizi/prodotti, ma come mezzo per accelerare la crescita del paese. In questo contesto, si è successivamente discusso circa i vantaggi e i requisiti delle startup espressi dalla legge. I requisiti di cui una startup deve entrare in possesso sono: avere la sede principale dell’attività in Italia; avere come oggetto sociale esclusivo, lo sviluppo la produzione o la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; avere a partire dal secondo anno un volume d’affari non superiore a 5 milioni di euro; non distribuire utili; non essere stata costituita a seguito di fusione, scissione societaria, o cessione di ramo d’azienda.
Le startup possono godere di agevolazioni, e dunque alleggerimenti dal punto di vista burocratico, ad esempio con l’attuazione della firma digitale.
Inoltre possono usufruire di numerosi incentivi fiscali sia in caso di investimenti diretti che in caso di investimenti indiretti cioè per il tramite di altre società, che investono prevalentemente in startup.
Le startup, in quanto tali sono facilitate in più, nell’accesso semplificato, gratuito e diretto, al fondo governativo, attraverso la concessione di garanzie sui prestiti bancari.
Per quanto riguarda l’occupazione, si sostiene la flessibilità di gestione delle stesse, rispondente a pieno alle esigenze dell’imprenditore e del personale acquisito, con ad esempio contratti a tempo determinato della durata di 36 mesi, che oltretutto possono essere rinnovati per una sola volta ancora per altri 12 mesi, fino ad un contratto di tipo indeterminato.
Esaminati i requisiti e i vantaggi appena esposti, si prosegue discutendo della business idea o idea imprenditoriale, considerata come il primo passo nel processo della nascita di un’impresa di successo che scaturisce da un’intuizione tesa a soddisfare un bisogno nel cliente.
Nel terzo capitolo si analizzano i dati di monitoraggio, avendo a disposizione la fonte www.registroimprese.it che riporta i numeri, indicanti la quantità di aziende, nate e sviluppatesi come startup, nel territorio italiano, negli ultimi tre anni. In particolar modo i dati che seguono, sono quelli rilevati nel primo trimestre del 2015 ed emerge che, ad oggi, la presenza delle startup in Italia sono 4.049. L’aspetto interessante da osservare, è il numero di startup localizzate nelle regioni italiane; infatti, il Nord Ovest rappresenta l’ambito territoriale in cui si concentra il maggior numero di startup innovative, circa il 31% del totale, con in testa, come best performer, la regione Lombardia con il numero di 883 startup. Seguono a breve distanza le regioni del Nord Est con un ulteriore 26% del totale, tra cui la regione dell’Emilia Romagna con 484 imprese innovative. Se il Mezzogiorno supera di poco il Centro, rispettivamente, 22% e 21% delle startup insistenti nel corrispondente territorio, in realtà è il Centro a esprimere, con la regione Lazio, un numero considerevole di startup pari a 397. Mentre la realtà regionale rappresentante il Mezzogiorno è la Campania con 235 startup. In seguito, si riportano i dati di localizzazione delle startup da un punto di vista provinciale, precisamente, il nord gode del maggior numero di startup grazie alla provincia di Milano con 533. A seguire vi è la provincia di Roma con 302 imprese di innovazione, e Torino con 201. Subito in basso, come quarta classificata, c’è Bologna dove si concentrano 121 imprese start up, susseguita poi in sesta posizione da Modena, considerando le due citta dell’Emilia Romagna. Ad intervallare le due province c’è Napoli, che con un numero pari a 109 startup, è la provincia più prolifera di queste ultime della regione Campania. A seguire vi sono altre province come Trento con 101 startup, Firenze con 94, e Bari e Padova con 77. Da questi dati emerge come la concentrazione delle startup, sia dal lato regionale, sia dal punto di vista provinciale, si localizza nelle grandi aree urbane dove il potenziale innovativo è più alto e c’è maggiore affluenza di università, centri culturali, attività di conoscenza ecc. Mentre un numero minore si concentra nelle zone più periferiche. Inoltre, volendo fare una valutazione che si dispiega considerando invece i settori in cui maggiormente le startup si sviluppano, possiamo osservare dati come quelli raccolti sulla distribuzione dei settori economici, da cui emerge che: il 73% delle startup innovative fornisce servizi alle imprese (in particolare, prevalgono le seguenti aree: produzione software e consulenza informatica, 30,2%; attività di R&S, 16,3%; attività dei servizi d’informazione, 8,1. Si evidenzia che il 18,3% delle società di capitali che operano nelle attività di R&S sono startup innovative; inoltre notevole è anche la quota di startup fra le società dei servizi di produzione di software (4,8%). La fase conclusiva di questo lavoro analizza il caso specifico dell’impresa innovativa Buzzoole: caso di successo ad opera dell’imprenditore Fabrizio Perrone che favorisce lo scambio e la pubblicizzazione di importanti brands e che vede le sue radici in Campania, nella provincia di Napoli. Attraverso fonti giornalistiche e articoli on-line si ha avuto modo di conoscere le informazioni sulla startup in questione.
E’ una piattaforma dunque per ottimizzare e per generare, come dice la traduzione stessa del termine, un passaparola veloce, facile e di qualità sul web circa i propri prodotti e servizi, in cambio di offerte, sconti, o quant’altro. Questa esperienza nasce probabilmente dall’assenza di un mezzo pubblicitario valido, un marketplace on line per le piccole e medie imprese nazionali ed internazionali. Ogni utente registrato sulla piattaforma riceve un’analisi qualitativa e quantitativa della propria attività in rete e della propria influenza. La sfida del venditore consiste nel capire le dinamiche potenzialmente complesse della community virtuale e nell'essere capace di sfruttarle efficacemente. Si tratta di una comprensione dell’influenza di specifici dati commerciali, più che solo la mera misurazione degli stessi. L’influenza intesa quindi in una diversa accezione, come un vero e proprio metodo di commercio alternativo che le persone potrebbero sempre più iniziare a riconoscere, per accedere ad offerte e condizioni speciali per il loro status “social”.
Tale iniziativa imprenditoriale sembra, dunque, collocarsi sul mercato come una funzionale e produttiva forma pubblicitaria. Buzzoole, rispetto ai precedenti sistemi di mercato, in tale direzione, compie un passo in avanti, poiché sposta la sua attenzione dalla valutazione della quantità, e cioè la mera misurazione della popolarità, alla misurazione della qualità dei contatti e delle interazioni, per meglio comprendere l’influenza dei clienti sul mercato ed aiutare gli stessi ad ottimizzare così anche la propria esperienza di mercati del web. L’idea di Buzzoole ha dimostrato quindi in pochi anni con il suo operato che la reputazione digitale, in settori come la tecnologia semantica, è una vera ricchezza. Infatti innescare un passaparola attorno ad un prodotto o servizio, partendo da una campagna pubblicitaria, è ormai l’aspirazione per eccellenza di molte aziende sia sul territorio nazionale che internazionale.

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